Potere e antagonismo in Michel Foucault e Michel Onfray di Giuseppe Gagliano

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Il volume di Giuseppe Gagliano su Michel Foucault e Michel Onfray è focalizzato sull’analisi di specifici nodi tematici variamente presenti nell’opera dei due filosofi francesi: il  ruolo dell’intellettuale, il suo rapporto con movimenti di ribellione (quali il maggio francese) ed infine la valutazione delle pratiche da perseguire per opporsi con efficacia al sistema di potere dominante. 

Lo scopo di tale lettura sembrerebbe essere quello di valutare l’eventuale efficacia operativa delle riflessioni dei due pensatori all’interno di un contesto movimentista e antagonista contemporaneo simile a quello sessantottino. Tale ipotesi interpretativa del lavoro analizzato trova conferma nelle parole con cui l’autore chiude l’introduzione del volume: «in altri termini le loro riflessioni sul potere, sul ruolo dell’intellettuale costituiscono una sorta di breviario rivoluzionario non dissimile da quelli tradizionali quali Il Manifesto o Stato e anarchia e devono quindi trovare attenzione nel contesto di una intelligence preventiva» (p. 9). 
La bibliografia proposta nel volume conferma tale scelta: ivi si rileva che le opere di Foucault e quelle storiografiche prese in esame sono accostate ad un numero rilevante di studi concernenti l’analisi della conflittualità non convenzionale e della guerra psicologica. 
Il volume si apre con una minuziosa descrizione delle tecniche della conflittualità non convenzionale o a bassa intensità (termini utlizzati dall’autore dello studio), vale a dire delle modalità attraverso cui le forze dell’antagonismo cercherebbero di conseguire le proprie finalità eversive: l’agitazione sovversiva, l’insorgenza, la costituzione di reti, la disinformazione e la propaganda. 
In questo scenario analitico è inserita la disamina del pensiero di Michel Foucault, per mezzo di una lettura non strettamente filologica, ma più prettamente ermeneutica, che cerca di ricondurre le finalità della riflessione del filosofo francese nell’alveo del pensiero antagonista e rivoluzionario. L’autore valuta in poche pagine la valenza teorica e pratica delle riflessioni del filosofo, su temi quali il ruolo dell’intellettuale, l’analisi del potere (dalla genealogia del potere all’analisi del suo carattere di omnidirezionalità, pervasività, pastoralità, razionalità, etc.), il ruolo del diritto nel processo di affermazione del potere, o ancora il totalitarismo e il liberismo, il ruolo giocato dal corpo nell’assoggettamento al potere o nella ribellione allo stesso. 
Anche se può apparire superfluo rilevare la oggettiva difficoltà di fornire in meno di venti pagine una descrizione, anche parziale, dei risultati della poliedrica produzione filosofica di Foucault, sembra tuttavia opportuno evidenziare come tale problema sia stato eluso dall’autore proponendo nel volume una lettura che appare sostanzialmente univoca ed uniforme: in altre parole, priva della complessità che la valutazione della filosofia foucaultiana richiederebbe. Questo è il limite che scaturisce dalla scelta, non del tutto condivisibile da un punto di visto storiografico, di procedere alla disamina dei nodi tematici esaminati come se questi fossero il frutto di un unicum teorico-speculativo. L’autore ha circoscritto la ricerca all’analisi di alcune opere della seconda metà degli anni settanta, non valutando la genesi di tali riflessioni, non contestualizzando i volumi analizzati, non considerando gli approfondimenti teorici scaturiti da tali lavori, proponendo cioè i risultati speculativi illustrati come se questi fossero l’unico ed ultimo punto di attracco della filosofia foucaultiana. Anche se l’autore asserisce che lo scopo della sua ricerca non è quello di «presentare al lettore una esposizione esaustiva del pensiero di Foucault e di Onfray», ciò non elimina il problema, poiché tale orizzonte interpretativo conduce Gagliano a compiere una serie di scelte assimilabili ad un’ermeneutica figlia del filosofare col martello. L’aver preso le mosse dell’analisi partendo dal lavoro storico-biografico di Didier Eribon, per poi accostarlo al volume di James Miller, non tenendo nel dovuto conto lo scarto metodologico delle due opere – storiografico il primo, quasi scandalistico il secondo –, appare una ulteriore conferma di questa ermeneutica spinta. 
Residuale nel complesso del lavoro è la parte del libro dedicata al pensiero di Michel Onfray. Questa si limita ad una più che sintetica presentazione (tre pagine) della posizione espressa dal filosofo francese nel volume La politica del ribelle, riguardante il ruolo dell’intellettuale nella società, del suo dover essere lo strumento mediante il quale stanare il potere, circoscriverlo e aggirarlo al fine di ottenere lo spazio necessario per proporre una valida alternativa al capitalismo. 
In conclusione il lavoro in oggetto appare privo dell’approfondimento, sia teorico sia storiografico, necessario all’analisi del tema proposto; non solo esso non chiarisce in modo esaustivo le problematiche analizzate, ma non offre altresì interrogativi utili ad aprire la via a nuovi spunti di riflessione.