L’intervento educativo nell’ipovisione. Intervista con Martina Pasquali
Di seguito l’intervista con Martina Pasquali, la quale ha completato il suo corso di studi magistrale in Pedagogia, scienze della formazione e dell’educazione, con una tesi in pedagogia sociale intitolata “L’intervento educativo nell’ipovisione. Strategie e strumenti del professionista tiflologo”.
Quale è l’attuale quadro legislativo relativo all’inclusione scolastica degli alunni con B.E.S. (bisogni educativi speciali)?
Attualmente questo tema viene trattato da diversi decreti. Con la legge n. 104/1992, oltre al diritto allo studio e all’istruzione, si ribadisce che l’inclusione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona disabile. Le difficoltà di apprendimento o altre legate all’handicap non devono impedire il diritto all’educazione e all’istruzione. Devono essere utilizzati strumenti che facilitino l’integrazione, ad esempio l’abbattimento delle barriere architettoniche. Questa deve essere garantita tramite interventi coordinati e programmati di scuole, ASL ed enti locali.
Con il CM n. 8 del 6 marzo 2013 è stato introdotto all’interno del sistema legislativo italiano il concetto di B.E.S.. Con questo termite si indicano tutti gli alunni che, per motivi anche diversi dalla disabilità, hanno bisogno di particolari attenzioni all’interno del contesto educativo.
Questa nuova definizione come ha cambiato l’approccio educativo nei confronti degli alunni con bisogno di attenzioni particolari?
Da una parte questa definizione ha dato modo di riconoscere delle problematiche che non venivano considerate tali. Come per esempio i disturbi di apprendimento come la dislessia, deficit dell’attenzione e altri disturbi psichici o particolari condizioni sociali che impediscono all’alunno di esprimere al meglio le proprie capacità. Questi tra l’altro non sono contemplati dalla legge 104. D’altra parte, vi è oggi un uso troppo ampio del termine che spesso porta ad un uso eccessivo delle risorse che diventano insufficienti per tutti.
Cos’è che determina una diagnosi di ipovisione?
L’ipovisione è una condizione di marcata e permanente riduzione della funzione visiva, che non può essere completamente corretta con lenti o trattamenti medico-chirurgici e pertanto può impedire il pieno svolgimento della vita lavorativa, relazionale e il perseguimento delle proprie esigenze ed aspirazioni di vita. Secondo l’OMS un soggetto è considerato ipovedente quando vede in misura compresa tra 1/20 e 3/10 da entrambi gli occhi.
Chi è il tiflologo e che ruolo ha nell’intervento educativo per l’ipovedente?
Il tiflologo è un operatore che facilità l’inclusione scolastica dell’alunno con disabilità visiva attraverso strumenti tipici della tiflologia (ad esempio uno strumento potrebbe essere il BRAILLE). Questa figura professionale non lavora solamente con l’alunno ipovedente ma collabora con insegnanti, le altre figure professionali scolastiche e nel gruppo classe e aiuta anche nella programmazione scolastica, al fine di adattarla alle esigenze dell’alunno.
In cosa consiste la parte sperimentale della tua tesi?
Nella sezione sperimentale della mia tesi ho somministrato dei questionari self-report a risposta multipla a dei professionisti tiflologi rintracciati tramite il sito dell’IRIFOR (Istituto di Ricerca e Formazione dell’Unione Italiana dei cechi e ipovedenti). Lo scopo della mia ricerca era di fare un identikit di questa figura professionale, indagando le strategie e gli strumenti utilizzati in relazione alle particolari esigenze degli alunni ipovedenti.
Quali sono state le tue conclusioni?
L’intervento volto all’inclusione dell’alunno ipovedente deve essere necessariamente personalizzato e programmato in stretta collaborazione con le figure professionali del contesto scolastico e socio-sanitario, senza incorrere però in un surplus di aiuto che potrebbe provocare una ghettizzazione o impedire la realizzazione della persona all’interno del proprio contesto sociale.
Il motivo alla base della scelta di questo tema è stato la volontà di approfondire la conoscenza su una condizione da me sperimentata in prima persona, ma mai in maniera riflessiva e consapevole dal punto di vista anche educativo e pedagogico.