La tragedia della Nakba: la traduzione italiana del catalogo della mostra sulla Nakba
Di Antonietta Chiodo, ProMosaik e.V. Italia. Da anni oramai l’associazione tedesca Flüchtlingskinder im Libanon e. V. mediante una mostra sulla Nakba porta avanti un’iniziativa culturale importante per commemorare la tragedia palestinese, iniziata nel 1948 con la fondazione dello stato sionista di Israele. Fino ad ora le immagini e i testi della mostra sono stati esposti in oltre 100 città della Germania e 40 località in Austria, Svizzera, Francia, Lussemburgo, Inghilterra e Stati Uniti. Visto il successo e l’importanza della mostra, ProMosaik e.V. Italia ha deciso di sostenere Flüchtlingskinder im Libanon e.V. con una traduzione italiana del catalogo della mostra, eseguita da ProMosaik e.V. per permettere di esporre la mostra anche nel mondo di lingua italiana.
L’obiettivo principale che persegue la mostra comunque non è la contrapposizione tra due popoli nemici, ma la comprensione storica di ciò che accadde in quegli anni ed il contorto gioco psicologico morale e coloniale sionista che permane fino ai giorni nostri. Soprattutto nel caso della Germania il sionismo viene sostenuto per senso di colpa per via dell’olocausto. Ma sostenendo il sionismo e il suo gioco coloniale e militarista, la Germania tradisce lo stesso olocausto e l’etica universale di non uccidere e di annullare l’Altro. E questo diviene chiarissimo studiando il percorso storico della “catastrofe” del popolo palestinese.
I decenni dell’occupazione sionista hanno reso Palestina una prigione a cielo aperto per una popolazione che poco prima viveva serenamente in quelle terre e che ora invece si ritrova priva di protezione, senza terra e senza stato. Gli scontri continui con le forze sioniste di occupazione conducono continuamente a gravi perdite umane. Inoltre ebrei, cristiani e musulmani, che nella storia avevano convissuto in armonia per secoli, continuano ad allontanarsi tra loro, rendendo la comunicazione e il dialogo sempre più difficili, se non impossibili.
Grazie ai moderni mezzi di comunicazione siamo oggi in grado di diffondere le verità storiche sulla Nakba. Le traduzioni del catalogo sulla mostra in diverse lingue permette di rendere questa tragedia palestinese accessibile a più persone, soprattutto in Occidente.
Il catalogo contiene una parte storica descrittiva molto ampia, che ripercorre le tappe fondamentali della storia palestinese a partire dalla fondazione del sionismo e poi dello Stato di Israele: si parte dalla prima Alija nel 1882 all’ interno dell’ex Palestina, parlando poi del periodo tra le due guerre, della spartizione dei territori avvenuta nel 1947, visualizzata tramite cartine e tabelle che permettono di comprendere come avvennero le divisioni dei territori ed i criteri che obbligarono la popolazione palestinese a ritagliarsi un’identità in spazi inesistenti sino ai giorni nostri. Gli scatti fotografici in bianco e nero mostrano donne che percorrono lunghe strade con i loro piccoli tra le braccia e uomini carichi di merci sulle spalle ad intraprendere la via della libertà per se stessi e le proprie famiglie, espulsi dalle terre di Galilea, Jaffa, sino a rappresentare la famosa chiave come simbolo dei rifugiati nella risoluzione della Convenzione di Ginevra del 1951.
Questa mostra e le traduzioni annesse grazie anche ad un repertorio fotografico non indifferente riescono a trasportare il visitatore nella storia tragica della Palestina, segnata dalla sofferenza e dal dolore, sentendo quasi il rumore dei passi che tracciano la via all’ avanscoperta dell’occupazione del suolo palestinese.
Ho posto alcune domande alla Dr. Milena Rampoldi su questa traduzione e sulla motivazione che l’ha spinta ad occuparsi di questa tematica di fondamentale importanza per la lotta per i diritti umani:
Antonietta Chiodo: Che cosa ti ha portata a tradurre il catalogo sulla mostra della Nakba in italiano?
Milena Rampoldi: Come arabista e musulmana, passata anche attraverso studi teologici e storici, ovviamente il Medio Oriente per me rappresenta una regione geografica di interesse primario per i miei studi. Come attivista per la pace e i diritti umani sono pro-palestinese per il semplice fatto che sto dalla parte degli oppressi, dei rifugiati e degli sfollati. E la causa della situazione attuale dei palestinesi, senza stato e senza terra, ha a che vedere con la Nakba, detta catastrofe, del 1948. Studiare questo evento storico e le sue conseguenze permette di capire l‘eliminazione passo per passo della regione palestinese fino ad oggi ad opera del regime sionista colonialista, militarista e basato sull’apartheid e sulla supremazia dell’elemento etnico ebraico su quello arabo. La Nakba deve essere un evento da commemorare e un circolo da chiudere. Con la Nakba inizia la lotta dei palestinesi per la loro terra, la lotta per il loro ritorno. E il ritorno in “patria” rappresenta la chiusura del cerchio della Nakba in senso positivo. Tradurre tematiche come queste in italiano serve a sensibilizzare il pubblico italiano, a mostrargli anche visivamente, con immagini e tabelle, le dimensioni di questo evento tragico ed ingiusto subito dal popolo palestinese. Conoscendo la Nakba, molti capiranno anche meglio da che parte stare e come distinguere l’oppresso dall’oppressore. Molti italiani, proprio studiando la Nakba e i suoi risvolti storici, sociali e politici tragici per il popolo palestinese, capiranno che la narrativa sionista è menzognera. Sono infatti i fatti storici a provarlo.
AC: Quali sono le caratteristiche costanti della Nakba, da allora fino ai giorni nostri?
MR: Purtroppo sono tante. Innanzitutto la Nakba è il prodotto di un movimento sionista coloniale che desidera appropriarsi delle terre palestinesi. I metodi mutano nel tempo, ma l’idea rimane la stessa. Secondo l’ideologia sionista, agli ebrei spetta il diritto di appropriarsi della Palestina visto che oltre 2 millenni fa vi vivevano i loro avi, un’ideologia mal accolta inizialmente dagli stessi ebrei, sia ortodossi che umanisti. Entrambi ritengono che il sionismo rappresenti una rottura con il vero spirito dell’ebraismo messianico, etno-centrico e persino umanista-universale. La Nakba significa apartheid, discriminazione, eliminazione del diverso, della storia, in quanto un paese va liberato con violenza e dispiego di forze militari dai propri abitanti per appropriarsene. La Nakba simboleggia il razzismo supremo di chi non vuole coabitare neppure con il colonizzato, ma lo vuole far scomparire nel vuoto astorico dell’invenzione della propria storia e del proprio popolo. La Nakba simboleggia anche l’ideologia sionista secondo cui gli ebrei devono difendersi militarmente, attaccando per non essere attaccati, perseguitando per non essere perseguitati, utilizzando l’olocausto come alibi, un’ideologia del tutto distorta e contraria all’ebraismo che in Mishna insegna che uccidere un essere umano significa uccidere tutta l’umanità. La Nakba è l’inizio della rottura dei legami di convivenza pacifica tra ebrei, cristiani e musulmani nei secoli nel mondo islamico. La Nakba simboleggia un’ideologia importata dall’Europa in cui gli ebrei venivano perseguitati. La Nakba ignora che i musulmani, come hanno accettato gli ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492, avrebbero anche accolto gli ebrei fuggiti dal nazifascismo europeo. Per i musulmani gli ebrei sono “gente del libro” a cui spetta il diritto di protezione in terra musulmana, esattamente come i cristiani. La Nakba è l’esatto contrario di un mondo sicuro per gli ebrei. Il mondo più sicuro per gli ebrei infatti consiste nel vivere con gli arabi in Medio Oriente, appropriandosi della loro cultura che era anche la cultura semita dei loro padri nella Palestina di 2 millenni fa. La Nakba per me significa la negazione dell’ebraismo, la negazione dell’etica ebraica che consiste nel rapportarsi all’Altro e di entrare in dialogo con lui. La Nakba è una fuga dall’essere-insieme, dall’essere per e con l’altro. Il sionismo che ha inventato e teorizzato la Nakba, pensando che ci volesse uno Stato Ebraico con la supremazia numerica e militare ebraica, ha sbagliato tutto. E ora si tratta di chiudere il cerchio con il ritorno, con lo smantellamento dello stato apartheid sionista e con la creazione di uno stato per tutti, insieme e in pace e giustizia. E questo catalogo ci mostra con che urgenza dobbiamo agire ora.
AC: La parte più complessa del tuo lavoro per questo catalogo come la descriveresti e perché?
MR: Credo che la complessità di ogni lavoro di traduzione nell’ambito dei diritti umani abbia a che vedere con il “rivivere” e con l’”empatia”. Traducendo la storia della Nakba, soprattutto se si tratta di lavori carichi di immagini come questo, il traduttore che interpreta il testo per trasferirlo dalla lingua di partenza alla lingua d’arrivo, rivive il processo storico della Nakba e dei suoi protagonisti politici, religiosi, ideologici e culturali. Nelle parti in cui si parla dei rifugiati o della cultura e letteratura palestinese, si rivive il dolore delle persone, il dolore degli oppressi come individui singoli. La parte che più colpisce a livello emotivo comunque per me è la seguente poesia del grande Ghassan Kanafani che recita:
Andiamo in un paese che non è fatto della nostra carne.
I suoi castagni non sono fatti dalle nostre ossa,
E le sue pietre non sono capre nella canzone delle montagne.
E là, gli occhi dei ciottoli non sono iris.
Andiamo in un paese in cui non possiamo appendere il nostro sole.
Esaltiamoci: abbiamo un trono, su piedi che si sono screpolati lungo la strada,
che ci ha portato a qualsiasi casa tranne la nostra!
L’anima dovrà trovare l’anima nella sua anima, o morire qui…
La Nakba significa per i profughi palestinesi la creazione di una patria nella propria anima o la morte. Non ci sono alternative per i palestinesi secondo Kanafani. E credo che la chiave, il simbolo della Nakba, sia proprio questo simbolo della sopravvivenza palestinese nella diaspora. Prima di chiudere il cerchio della Nakba e ritornare, mi ricreo una patria nella mia anima, in cui si trova il mio sole, in cui si trovano i miei ulivi, e in cui piango i miei morti. Ecco la dimensione spirituale della Nakba, sempre in attesa che si chiuda il cerchio.
Il link per il download del catalogo italiano lo trovate qui
– See more at: http://www.promosaik.blogspot.com.tr/#sthash.lGN1oQWh.dpuf