Intervista con il Prof. Khallouk sul libro “Salem, Gerusalemme”
Carissime lettrici, carissimi lettori,
vorrei presentarvi la mia intervista con il Prof. Khallouk, il cui libro abbiamo appena pubblicato in lingua italiana.
La recensione italiana del testo la trovate qui:
http://www.promosaik.blogspot.de/2015/05/il-nuovo-progetto-di-promosaik-ev-salam.html
Nel suo diario di viaggio in Israele il Prof. Khallouk ci insegna a superare i propri pregiudizi mediante un umanesimo monoteista radicale.
Sono lieta di leggere i vostri commenti
Dr. phil. Milena Rampoldi – ProMosaik e.V.
Dr. phil. Milena Rampoldi: Mohammed, per te che cosa significa un umanesimo etico-monoteista radicale che per me è il risultato del tuo viaggio in Israele?
Prof. Mohammed Khallouk: La decisione di recarmi in Israele è stata veramente una decisione sofferta. Cresciuto in un paese musulmano, le notizie sul conflitto israeliano-palestinese nei media del mio paese hanno fatto nascere in me un conflitto interiore. Da una parte ero curioso che aspetto reale avesse il paese del cosiddetto “nemico storico”, e dall’altra avevo sempre un certo timore di dover incontrare direttamente il “nemico”. Per questo ho sempre spostato la decisione di recarmi in Israele. Ma la mia vita in Germania e l’essere confrontato con un’altra cultura “straniera” comunque mi avevano permesso di vedere il paese e i suoi abitanti da una nuova prospettiva. Come accentuava Levinas, appena la distanza permette di vedere le cose da un altro punto di vista. Questo era anche il mio caso. A quest’esperienza si aggiunsero le esperienze con gli intellettuali come Shimon Levy che mi hanno aiutato a superare i miei scrupoli per poi decidere finalmente di recarmi veramente in Israele.
E alla fine quando ero arrivato nel paese, ove ebrei e musulmani vivevano vicini, in uno spazio strettissimo, avendo modo di conoscere i cuori e le anime delle persone. In questo modo mi sono reso conto che la nostra etica monoteista comune ci permette di stimarci a vicenda e di vivere tutti insieme in armonia. Il fatto di riconoscersi a vicenda come persone eguali con esigenze e diritti umani eguali è quello che conta. Quest’etica si basa sulla coscienza che tutti gli uomini sono creature del Solo Dio che ha trasmesso a tutti noi una responsabilità per il nostro prossimo. In questa concezione, tutte le caratteristiche esteriori quali razza, origine o confessione sono subordinate all’essere-umani in senso generale. In questo senso anche la frase di Levinas, secondo cui “l’uomo è più sacro di qualsiasi Terra Santa” ha acquistato la sua valenza pratica nell’incontro con gli ebrei nei luoghi sacri di Gerusalemme.
Dr. phil. Milena Rampoldi: Che significato dovrebbe rivestire oggi la pace per gli ebrei e i musulmani in Medio Oriente?
Prof. Mohammed Khallouk: La pace dovrebbe significare che le persone, nonostante le loro differenze di religione, abbiano un futuro comune. Non si dovrebbero avere più scrupoli nei confronti degli altri ed essere in grado di collaborare a tutti i livelli sociali senza ostacoli e senza forzature. Una pace di questo tipo può solo formarsi se si eliminano gli ostacoli politici ed entrambe le parti sono coscienti del fatto che si deve trattare il prossimo con giustizia. La giustizia significa che le relazioni tra israeliani e palestinesi devono essere basati sui principi del diritto dei popoli. Israele a sua volta deve riconoscere che i palestinesi sono un popolo autonomo, a cui spetta il diritto di avere un proprio stato. Inoltre il diritto dei popoli richiede che Israele evacui i territori occupati dal 1967 e riconosca uno stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale. Inoltre richiede almeno il riconoscimento a livello simbolico del diritto di ritorno dei profughi palestinesi. Inoltre richiede che non vengano più costruite nuove abitazioni per coloni e che non vengano estese quelle esistenti nei territori occupati e che vengano evacuati i siti dei coloni esistenti e/o che i coloni accettino la cittadinanza palestinese, assoggettandosi al diritto dello Stato palestinese. In cambio ai palestinesi, e insieme a loro a tutti i musulmani, si richiede di riconoscere lo stato di Israele come stato ebraico nei sui confini del 1948, includendovi la ripresa delle relazioni politico-diplomatiche senza limitazioni anche sul versante dello scambio economico e culturale. Infine vanno anche abolite le reciproche limitazioni di viaggio per permettere agli israeliani di poter viaggiare nei paesi arabi e ai musulmani di entrare in Israele.
Dr. phil. Milena Rampoldi: Che importanza acquista il dialogo interreligioso tra la gente comune nella società per costruire oggi la pace in Medio Oriente?
Prof. Mohammed Khallouk: Riveste un’importanza fondamentale, poiché la pace duratura diviene possibile, solo se accettata dalla popolazione nel suo insieme. La pace non può venire ordinata “dall’alto”, ma deve venire dal “basso” e crescere nei cuori delle persone. Inoltre si deve dire che Israele afferma di rappresentare una comunità generalmente democratica. Anche i palestinesi dicono di essere democratici. Nelle democrazie i governi e i parlamenti vengono eletti dalla maggioranza (e dunque dalla gente comune). I responsabili politici di conseguenza possono solo realizzare la pace, se possiedono il mandato dei loro elettori. Allo stesso tempo le élite devono assumersi la responsabilità di spiegare agli elettori i vantaggi e le esigenze di una pace in Medio Oriente. Purtroppo le élite di oggi non si assumono questa responsabilità o non la prendono sufficientemente sul serio. Se i pregiudizi sono impressi nelle teste e nei cuori di entrambi i popoli, sono le élite dei politici e dei media ad esserne responsabili, visto che non spiegano alle persone i problemi e le esigenze motivate del rispetto altro popolo. Ma invece di fare questo, accusano pubblicamente di terrorismo coloro che si impegnano con mezzi legittimi per riuscire ad affermare i propri interessi.
Dr. phil. Milena Rampoldi: Che cosa significa la giustizia nell’Islam e per quale motivo una pace senza giustizia è inconcepibile?
Prof. Mohammed Khallouk: Ci hanno insegnato che Allah protegge una comunità giusta, anche se non è credente e che invece non protegge una comunità ingiusta, neppure se si considera musulmana. La giustizia nell’Islam significa che ad ogni persona quale creatura divina spettano gli stessi diritti individuali e che una collettività non ha più diritti rispetto ad un’altra. Se i musulmani dicono di essere i detentori della giustizia, hanno anche l’obbligo di concedere questa giustizia a tutti gli altri esseri umani. Una pace che non si basa sulla giustizia rimane una pace vuota che non viene accettata dalle persone che si sentono trattate in modo ingiusto. Non appena hanno il potere di farlo, inizieranno nuovamente ad usare la violenza per eliminare le ingiustizie. Nell’Islam la giustizia riveste un ruolo centrale: Allah si dimostra misericordioso nei nostri confronti, solo se agiamo in modo giusto. La misericordia nell’Islam segue la giustizia come conseguenza della stessa.
Dr. phil. Milena Rampoldi: Come può la massima di Simon Levy rappresentare una guida per gli altri ebrei che oggi convivono con i musulmani?
Prof. Mohammed Khallouk: La frase di Levy “L’ebraismo è la mia religione, e l’Islam la mia cultura” è il risultato dell’esperienza di una vita all’insegna della convivenza rispettosa tra ebrei e musulmani in Marocco. Nel regno musulmano, in un ambiente completamente musulmano, non solo era riuscito a praticare senza ostacolo la sua fede ebraica, e di orientare la sua vita civile alle regole ebraiche, ma venne persino eletto deputato nel parlamento marocchino in una circoscrizione elettorale quasi del tutto abitata da cittadini di fede musulmana. In seguito ebbe anche la possibilità di fondare a Casablanca il primo e finora unico museo ebraico, ottenendo sovvenzioni statali. È anche stato testimone del restauro di cimiteri e monumenti ebraici, finanziato dallo stato marocchino. Alla fine è stata una cultura improntata all’Islam a permettergli di mantenere viva la storia dell’ebraismo per le generazioni postume, grazie alla sua ricerca scientifica.
La frase di Levy deve servire da parola d’ordine per tutti gli ebrei che vivono in un ambiente musulmano, visto che permette loro di riconoscere le leggi e le regole del gioco di una cultura islamica come le “norme proprie” e di rimanere allo stesso tempo fedeli all’ebraismo senza alcun ostacolo. Questa frase può essere di importanza per tutti gli ebrei disposti a vivere nel futuro stato palestinese come minoranza. Ma persino per la popolazione di maggioranza nello Stato di Israele la parola d’ordine di Levy acquista la sua importanza, se questo stato – come aveva richiesto il precedente re marocchino Hassan II già negli anni sessanta – si considera parte integrante di un’unione di stati del Vicino e Medio Oriente e diviene parte della Lega Araba. Quale membro di un Vicino Oriente ebraico-musulmano comune si apparterrebbe dunque all’Islam come cultura, mantenendo l’ebraismo come religione. Infine la parola d’ordine di Levy acquista anche la sua importanza per gli ebrei che sono coscienti delle loro radici orientali e che forse un giorno dall’emigrazione in Israele, Europa o America vorrebbero tornare nei loro paesi arabo-islamici di origine.
http://promosaik.blogspot.com.tr/2015/05/intervista-con-il-prof-khallouk-sul.html