Ascesi e gabbia d’acciaio. La teologia politica di Max Weber, Francesco Ghia
Il titolo di questo lavoro, assai suggestivo, ci riporta ad un concetto, quello di teologia politica, mai espressamente menzionato da Max Weber; oltre a Kelsen, secondo Francesco Ghia, anche Carl Schmitt, pur considerandosi più propriamente un giurista, ha utilizzato e sistematizzato questa categoria della politica e in uno scritto del 1976, una lettera mai spedita a Heinz Friedrich, l’ha riferita esplicitamente a Max Weber definendolo “lo storico che porta avanti la teologia politica” (la circostanza è ricordata da P. Tomissen, Bausteine zu einer wissenschaftlichen Biographie (Periode:1888-1933), in H. Quaritsch (hrsg.) Complexio Oppositorum.Über Carl Schmitt, Berlin, Duncker & Humblot,1988, pp.78-79). L’uso di questa espressione appare dunque giustificato e l’autore intraprende il compito di ricostruirla sulla base, nella Sociologia della religione, della secolarizzazione di concetti e temi provenienti dalla religione per comprendere fenomeni storici, economici e sociali.
Il punto di partenza dell’autore, nella ricostruzione del concetto, è l’evidenziazione dell’idea di ricerca della salvezza, tipica del contesto religioso, nella costruzione dell’agire politico e sociale. Il ruolo dell’ascesi attiva o passiva a seconda delle epoche storiche (passiva come semplice contemplazione mistica di Dio, attiva come agire voluto da Dio) si configura come fuga dal mondo o creazione intramondana di valori tanto individuali quanto collettivi. I valori della vita claustrale, di organizzazione della vita personale e collettiva, di determinazione degli spazi e dei tempi di vita, di purificazione personale, si sono trasformati nella secolarizzazione moderna in una “gabbia d’acciaio” destinata a meccanizzare i comportamenti nella divisione del lavoro e a trasformare l’esistenza in un carcere tanto metaforico quanto reale, come poi suggerirà anche Foucault.
La ricostruzione di Ghia parte dal panorama della teologia liberale tedesca di fine Ottocento, una ambito che Weber ben conosceva e di cui parla spesso anche in scritti autobiografici. Definendosi religiös absolut unmusicalich (assolutamente immusicale dal punto di vista religioso) ossia privo di orecchio per la musicalità della religione, dei dogmi e della liturgia , ma non irreligioso o ateo, definisce il suo punto di vista, espresso in una lettera a Ferdinand Tönnies datata probabilmente 1909, come quello di un luterano attento al confronto con il calvinismo e metodologicamente pronto a chiarire i rapporti tra religione e società, e ad agire e interpretare un contesto razionalizzato e secolarizzato. La partecipazione di Weber al Congresso evangelico – sociale fornisce ulteriore materiale di discussione relativamente alla funzione delle chiese e dei valori religiosi. E’ in particolare la discussione con Sohn e Harnack, secondo Ghia, a fornire gli spunti più interessanti. Analizzando il cristianesimo primitivo Sohn evidenzia il ruolo unicamente carismatico dell’organizzazione funzionale delle prime comunità; mentre Harnack, nel saggio L’essenza del Cristianesimo (1904) evidenzia la discontinuità tra la comunità primitiva e l’organizzazione burocratico gerarchica successiva. Tutto il dibattito sulla storia della religione contribuisce a costruire la successiva prospettiva della secolarizzazione e del ruolo della professione (Beruf) come contrappunto laico alla vocazione religiosa: ciò si nota anche nelle ultime conferenze La politica come professione e La scienza come professione. In particolare proprio queste due conferenze, che all’epoca avevano suscitato molte polemiche, nella lettera a Heinz Friedrich del 1976 servono a Carl Schmitt, in parte anche per discolparsi dall’essere stato “il filosofo del nazismo”, per collocare Weber nell’ambito della teologia politica sulla base del confronto tra il concetto di potere carismatico proprio di Weber e il suo di sovranità (Souveranität – cioè la decisione circa lo stato di eccezione, secondo la definizione della Teologia politica del 1922). Buona parte della critica sostiene la derivazione, se non la dipendenza diretta, del secondo dal primo. E’ evidente poi che l’analisi operata da Weber “rompe” con una tradizione consolidata, che descrive il potere politico secondo la formula “chi governa?” e “come governa?”, mentre egli divide l’esercizio del potere secondo le dicotomie ordinario/straordinario e personale/impersonale, generando così le ben note tipologie tradizionale, legale – razionale, carismatico. Proprio quest’ultima è interessante, poiché si tratta della capacità di attirare a sé seguaci e discepoli, come frutto di una ispirazione (Eingebung): l’interpretazione che ne è stata data, a posteriori rende comprensibile il fenomeno dei sistemi totalitari come governi carismatici. Anche il concetto di sovranità in Schmitt ha le caratteristiche dell’eccezionalità, anzi, del “miracolo”, come l’autore sostiene facendo riferimento esplicito alla terminologia della religione. La sociologia della religione di Weber, in particolare la prevalenza del quotidiano che costituisce la novità del luteranesimo e del calvinismo, applica perfettamente la teoria dei valori: il sociologo è libero di costruire la propria interpretazione scegliendo un punto di vista specifico, salvo poi essere rigidamente vincolato una volta scelto il procedimento di razionalizzazione. In particolare è importante l’intreccio tra vocazione ascetica e vocazione professionale (Beruf), poiché dal mondo del monastero medievale la vocazione carismatica si trasferisce sul piano delle attività mondane. E’ in particolare il calvinismo a favorire la sopravvivenza del Protestantesimo, poiché trasferisce l’ascesi” dalle celle dei monaci nella vita professionale (cfr. M. Weber, Sociologia della religione [1920-’21], trad. it. Torino, Utet 1998, p. 331). Proprio questo serve a compattare, in una sorta di eterogenesi dei fini, lo spirito del capitalismo.
Altre questioni affrontate da Weber vengono lette alla luce dell’esperienza religiosa, come l’origine dei diritti umani, che in una celebre pagina di Economia e società vengono collegati al carisma religioso e alla sua ultima affermazione. In effetti è proprio la libertà di coscienza ad essere rivendicata come prima forma di libertà dell’uomo di fronte al potere.
Nell’ultima parte del saggio, Ghia riprende il tema dello spirito del capitalismo e della sua nascita dall’idea di vocazione laica professionale. Lo studio dell’influenza del calvinismo sulla formazione dell’idea di Lebenswerk, nell’ambito delle opere successive avrebbe dovuto essere sviluppato secondo alcuni punti che lo stesso Weber si premura di elencare nelle conclusioni della Sociologia della religione: mostrare l’importanza del razionalismo ascetico, analizzare la sua relazione con il razionalismo umanistico e con lo sviluppo dell’empirismo tecnico e scientifico, collocare quel razionalismo nell’ambito del divenire storico, infine evidenziare le relazioni tra protestantesimo ascetico ed elementi formativi della civiltà moderna. Questi elementi nel periodo successivo non vengono poi organicamente sviluppati in un’unica ricerca, in parte per la pubblicazione del saggio di Troeltsch Soziallehren der christliche Kirchen, ma soprattutto perché Weber matura la convinzione che gli studi sull’etica protestante vadano collocati nell’ambito di una più generale considerazione della storia della civiltà, secondo la metodologia più propria della sua sociologia comprendente. In tal modo elabora quei concetti come mistica, carisma, magia, ascesi, Chiesa, setta, che rendono possibile considerare le religioni in maniera comparativa, considerando le grandi forme di comunità in relazione con l’economia (gli stessi concetti che secondo Ghia costituiscono la “teologia politica” di Weber). La stessa definizione di comunità (Gemeinschaft) permette di instaurare una analogia tra Chiesa cattolica e Stato-nazione come forme di comunità attive organizzate e indipendenti; la Chiesa cattolica inoltre costruisce una sua struttura giuridica razionale e formale che attua in tal modo il suo fondamento sacramentale e ministeriale. Le sette protestanti e in particolare calviniste hanno invece una caratteristica volontaria che, in relazione alla forte dottrina della predestinazione, chiama l’uomo a dispiegare la sua individualità nell’ambito professionale. Le sette protestanti però hanno anche una fortissima impronta comunitaria, di reciproco controllo morale e religioso, in cui la trasformazione del singolo va di pari passo con quella del gruppo, in una vera e propria ecclesia pura o chiesa dei santi (e non è un caso che da queste ultime sia derivato il principio del contratto sociale).
Nelle sue conclusioni Ghia ritorna sul concetto euristico di teologia politica, sostenendo che si tratta di una ricostruzione plausibile in base alle fonti concettuali della sociologia politica di Max Weber. Inoltre l’autore rivendica di aver voluto andare oltre il senso prettamente politico di questa individuazione, ma di aver voluto dimostrare la persistenza dello spirito religioso nell’intera filosofia di Weber e nel suo stesso cercare individuale, sino ad elevare la decisione etica, la responsabilità a principio, ben prima di Jonas.
L’argomentazione di Francesco Ghia è sottile e ricca di argomentazioni. Tuttavia, trovo poco convincente, sin dalle origini, l’applicazione fatta da Schmitt della definizione di teologia politica al pensiero di Weber. E’ certamente vero, e lo è vieppiù dopo l’approfondita analisi delle fonti contenuta in questo libro, che l’ambito religioso – teologico costituisca l’orizzonte definitorio e terminologico di alcune categorie politiche e sociologiche di Weber proprio perché, se si considera l’ambito della storia della cultura, derivano effettivamente da lì (l’esempio più ovvio è quello del potere carismatico). Secondo me, tuttavia, andrebbe presa sul serio l’affermazione weberiana di essere “religiös unmusicalich”: se applicati al contesto generale della cultura anche i concetti che più evidentemente si rifanno ad una matrice religiosa si allontanano dalla loro origine per servire da leva di comprensione in un orizzonte completamente nuovo.