Anna Polo: Ogni traduttore è uno strumento che avvicina mondi distanti e li aiuta a comunicare.

di Milena Rampoldi, ProMosaik e.V. – Qui di seguito la mia intervista di Anna Polo sull’importanza della traduzione per i diritti umani e per la lotta per un mondo migliore. 
Di se stessa Anna ci dice: Vivo a Milano e faccio la traduttrice da oltre trent’anni. Questo lavoro con libertà di orario e di organizzazione mi ha permesso di dedicarmi a ciò che più mi appassiona e dà senso alla mia vita: contribuire all’accumulazione di bontà e compassione che nel corso della storia ha fatto avanzare l’umanità e continuerà a dare frutti anche in futuro. 
Questo proposito si è tradotto nella mia attiva partecipazione al Movimento Umanista e in particolare all’associazione umanista Mondo Senza Guerre e Senza Violenza, impegnata in iniziative sui temi della pace e della nonviolenza (manifestazioni, forum, campagne, corsi di educazione alla nonviolenza per ragazzi e per adulti, ecc).

Milena Rampoldi: Che importanza hanno le traduzioni? 

 
Anna Polo: In particolare per un’agenzia stampa internazionale come Pressenza, le traduzioni sono fondamentali per permettere l’ampia circolazione di articoli, interviste ecc, soprattutto quando offrono punti di vista e notizie che non si trovano nei media mainstream.

MR: Che cosa significa per te personalmente tradurre? 

AP: Ogni traduzione per me significa gettare un ponte non solo tra due lingue, ma anche tra culture, età e paesi diversi, tra autori e pubblico. Ogni traduttore è uno strumento che avvicina mondi distanti e li aiuta a comunicare.

 MR: Quali sono secondo te le strategie migliori per promuovere il dialogo interculturale?

AP: Parlando sempre dal punto di vista di un’agenzia stampa internazionale, credo che dare spazio a tutte le iniziative concrete che vanno nella direzione del dialogo, della conoscenza reciproca e della solidarietà sia un grande contributo in questo senso. Valorizzare le caratteristiche migliori, più evolutive di ogni cultura e allo stesso tempo cercare ciò che profondamente la unisce alle altre. 

 MR: Che cosa significa per te empatia interculturale e interreligiosa?
AP: Significa sentire l’altro vicino al di là delle differenze esteriori, sentire le sue sofferenze e le sue gioie e ancora una volta cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide.

MR: Un giornalismo al plurale promuove la lotta alla discriminazione e al razzismo. Che ne pensi di questo?

AP: Credo che sia importante trovare la giusta proporzione tra la denuncia e l’indignazione, necessarie quando si parla di temi come questi, con lo spazio da dare a tutto ciò che si muove verso l’unione, l’uguaglianza, l’affermazione dei diritti di tutti. Io sintetizzo questo lavoro – che in realtà si applica a tutti i temi di cui si occupa Pressenza, dalla pace, alla nonviolenza, ai diritti umani ecc – con la frase “Illuminare l’oscurità”, ossia mostrare e collegare tutte le esperienze, i punti di vista e le persone che contribuiscono a portare luce in questo momento buio, così pieno di violenza e ingiustizia.

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