La laïcité francese: un tipo di secolarismo sbagliato
Ian Birchall | ||
Übersetzt von Milena Rampoldi میلنا رامپلدی | ||
Herausgegeben von Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي |
Versione adattata di una comunicazione alla 12a conferenza annuale della rivista Historical Materialism
L’ideale secolare francese della laïcité non è un’idea nobile abusata, ma un’idea profondamente viziata alla radice
All’indomani degli omicidi di Charlie Hebdo, molte sono state le discussioni sui “valori repubblicani”. E alcuni francesi sembrano averne abbastanza; una recente inchiesta mostrava infatti che il 65% del popolo francese era dell’idea che termini quali “valori repubblicani” fossero “usati troppo e avessero perso la loro forza e il loro significato.”
Un valore repubblicano centrale è quello della laïcité — un termine francese che ha tanti connotati e tante interpretazioni che alla fine è intraducibile, sebbene secolarismo[ingl. secularism] rappresenti un’approssimazione ragionevole. Oggi la laïcité serve per giustificare molte cose — dal divieto del velo islamico per le madri che accompagnano i loro figli alle gite scolastiche fino al dire agli allievi musulmani ed ebrei di mangiare maiale o di rimanere senza cibo.
Ma la laïcité non è solo un’idea abusata dalla destra a fini politici o culturali; si tratta anche di un valore affermato dalla sinistra, e persino dall’estrema sinistra.
Inoltre il significato di laïcité non fa riferimento esclusivo ad un vago “valore” fluttuando nella testa della gente; il concetto infatti ha un’attuazione materiale concreta nel sistema educativo francese. In Francia oggi quasi un quarto della popolazione (il 24,7%) fa parte del sistema educativo, come dipendenti o come studenti. Dunque gli ideali e le pratiche associati alla laïcité divengono centrali per le strutture sociali ed economiche della nazione francese.
Il concetto di laïcité ha una lunga storia alquanto tortuosa, ma il punto cruciale di svolta senza dubbio fu quello delle leggi di Ferry che nel 1881-82 stabilirono il principio secondo cui l’educazione primaria in Francia sarebbe stata gratuita, obbligatoria e secolare.
Espansioni di questo tipo dell’educazione primaria pubblica stavano avendo luogo dappertutto in Europa. I cambiamenti causati dall’industrializzazione in Francia aumentarono il bisogno di manodopera alfabetizzata e competente, in particolare dopo la vittoria decisiva della Prussia nella guerra del 1870, che molti a quell’epoca almeno in parte attribuivano alla superiorità prussiana nell’ambito educativo.
Ma vi erano anche altri fattori. I politici che ora detenevano il controllo della Terza Repubblica avevano lottato fino all’ultimo come membri dell’opposizione durante il Secondo impero. La chiesa cattolica ricopriva una funzione importante nella costruzione e nel supporto del governo di Napoleone III: Una guarnigione francese aveva protetto il Vaticano, e solo dopo il suo ritiro dalla guerra franco-prussiana, il Vaticano perse la sua condizione di stato indipendente, divenendo parte dell’Italia.
I politici repubblicani tendevano dunque ad essere anticlericali e diffidenti nei confronti della chiesa cattolica – un atteggiamento che corrispondeva ad uno stato d’animo molto diffuso tra la popolazione francese.
Ma vi erano motivi validi per diffidare della chiesa. Infatti la lealtà del clero era divisa tra lo stato francese e il papato, e il papato conduceva la propria politica estera che non necessariamente coincideva con quella dello stato francese. Inoltre si temeva che gli insegnanti cattolici potessero favorire Roma piuttosto che Parigi; per citare un esempio: durante la guerra franco-austriaca del 1859, il prete di un villaggio, stando a quel che si dice, disse ai suoi parrocchiani di pregare per gli austriaci visto che erano cattolici.
Di conseguenza Ferry e i suoi sostenitori credevano che un compito importante nel settore dell’educazione della nuova generazione non dovesse essere affidato a degli alleati potenzialmente sleali presenti nella chiesa e che la scuola primaria dovesse invece essere gestita direttamente dagli impiegati e dai dipendenti dello stato francese.
“La macchia nera” (l’Alsazia-Lorena) di Albert Bettanier (1887)
La questione della difesa nazionale era anche una chiave. La Francia aveva subito una pesante sconfitta nella guerra franco-prussiana ed aveva perso i territori dell’Alsazia e della Lorena al nuovo impero tedesco. In determinati ambienti si era fermamente convinti che la Francia fosse obbligata a riconquistare i territori annessi dal nemico.
Ferry stesso non era a favore di una guerra con la Germania, cercando invece di migliorare le relazioni con il vicino della Francia. Ma la sua manovrabilità in questo senso era racchiusa dall’opinione pubblica francese e dalla possibilità reale di un’altra guerra con la Germania. L’opzione privilegiata di Ferry consisteva nell’espansione coloniale francese, una missione basata sul suo credo razzista secondo cui le “razze superiori avrebbero l’obbligo di civilizzare quelle inferiori”. Infatti fu durante il mandato di Ferry che la Francia occupò e annesse l’Indocina [e la Tunisia, NdE].
Queste aspirazioni resero essenziale la questione dell’esercito. Nel 1900 la Francia era ancora un paese essenzialmente agricolo. Il 45% della popolazione lavoratrice francese era costituita da contadini e campagnoli. Nel 1848 e nel 1871 furono i soldati campagnoli a ristabilire l’ordine, soffocando le insurrezioni dei lavoratori di Parigi e nei decenni successivi l’esercito venne impiegato ripetutamente contro gli scioperanti.
Ma la classe contadina aveva un problema. Il suo senso di identità nazionale era debole, e i campagnoli tendevano piuttosto ad identificarsi con il loro villaggio e la loro provincia che con la nazione francese. Dalla Bretagna alla Provenza, molti campagnoli parlavano lingue o patois diversi dal francese; le statistiche ufficiali del 1863 mostrano che un quarto della popolazione non parlava il francese. In alcune regioni si diceva anche che i campagnoli non sapevano neppure di essere francesi.
Un tema centrale del progetto pedagogico di Ferry consisteva nel rafforzamento del significato dell’identità francese, rimpiazzando l’educazione religiosa con un’educazione “morale e civica” per inculcare le idee patriottiche e dell’identità nazionale. L’offerta formativa di base per il nuovo modello scolastico includeva le esercitazioni militari per i ragazzi e un corso di cucito per le ragazze (forse per cucire le uniformi).
Un battaglione scolastico sfilando a Breteuil-sur-Noye (Oise), 1890
Le esercitazioni militari divennero molto importanti nelle nuove scuole. Ecco come le descrive uno storico:
Era l’epoca dei “battaglioni scolastici”, un’invenzione repubblicana fatta da Paul Bert e lanciata nel 1882. Perseguiva lo scopo di approfittare dell’entrata degli allievi nelle scuole elementari per inculcare nelle loro teste le nozioni della “cittadinanza patriottica” attraverso l’esercitazione militare. I bambini si esercitavano a marciare con un’arma giocattolo, con una baionetta di legno, ma al di fuori della scuola si esercitavano anche a sparare con munizioni vere nei poligoni di tiro.
Nell’introduzione al colloquio del 1985 sulle leggi di Ferry, François Furet descrive l’affermazione della laïcité nel sistema educativo come il “miglior simbolo della grande ed unica vittoria della sinistra dalla Rivoluzione Francese.” Ma non appena le leggi di Ferry e la laïcité entrarono in vigore, la posizione della sinistra fu meno entusiasta.
Un’ala del partito socialista, con a capo il carismatico Jean Jaurès, senza dubbio considerava le leggi di Ferry e la separazione tra chiesa e stato un grande passo verso il progresso. Da giovane Jaurès era stato amico di Ferry e si identificava con la sua idea di laïcité quale aspetto della sua più generale accomodazione alle politiche repubblicane. Nel 1904 Jaurès difendeva la partecipazione dei socialisti al governo repubblicano, affermando che aveva salvato la Repubblica, facendo una semplice allusione al fatto che il governo repubblicano aveva anche inviato delle truppe per sparare contro lavoratori in sciopero.
Per la sinistra marxista, le cose stavano alquanto diversamente. Nell’estate del 1882, direttamente dopo l’entrata in vigore della legge di Ferry sulla laïcité, Karl Marx stesso per quasi tre mesi era stato a Parigi, durante il suo viaggio di ritorno dall’Algeria. La sua corrispondenza di quell’epoca non cita l’evento – cosa molto strana, visto che Furet vedeva la laïcité come la maggiore conquista della sinistra.
Paul Lafargue — il genero di Marx e il maggior esponente e scrittore del marxismo francese per tre decenni dopo essersi stabilito a Parigi nel 1882 — nella sua copiosa corrispondenza con Engels non fece mai riferimento alle leggi di Ferry. Forse l’omissione aveva a che veder con la poca stima che Marx ed Engels nutrivano nei confronti di Ferry; Marx infatti disdegnava il suo “malgoverno” nel periodo prima della Comune di Parigi, mentre Engels lo chiamava un “ladro di prima categoria”.
Comunque Karl Kautsky — il cosiddetto “Papa del marxismo” dopo la morte di Engels – aveva una prospettiva alquanto diversa. Anche se in generale criticava la Terza Repubblica e le speranze illusorie che molti ponevano nel movimento socialista francese, osservò comunque senza riserva che “nel settore dell’educazione, la terza repubblica aveva raggiunto ottimi risultati”.
Era comunque scettico nei confronti della separazione tra chiesa e stato, affermando che “se c’è stata adesso una rottura tra chiesa e stato, questa può essere ricondotta ad una provocazione della Chiesa. Nonostante ciò si può comunque dubitare che questa rottura sia definitiva”.
In seguito Kautsky commentava:
Oggi i politici liberali borghesi sono interessati a combattere la Chiesa, ma non a trionfare su di essa. Possono solo contare sull’alleanza con il proletariato finché questa lotta continua. Se giunge ad un termine, il loro alleato sarà trasformato in un vero nemico, il giorno in cui la Chiesa tramonterà. Anche durante l’epoca del suo più ampio potere rivoluzionario, la borghesia non riusciva a resistere a lungo senza la Chiesa.
In altre parole, Kautsky considerava la laïcité come una concessione alla sinistra piuttosto che una strategia ideologia alternativa.
Lafargue afferrava le questioni in modo ben più acuto. Era ateo e materialista e si opponeva fortemente all’influenza della chiesa; il suo primo atto dopo la sua elezione in parlamento consisteva nell’emettere, senza successo, una risoluzione in cui richiedeva la separazione tra chiesa e stato.
Ma era anche scettico riguardo a coloro che attribuivano grande importanza all’anticlericalismo. Nel programma del Partito operaio del 1883, redatto da Lafargue e Jules Guesde, si ritrova un riferimento sdegnoso ai liberi pensatori borghesi che desiderano “la soppressione dei sussidi statali alle chiese e la separazione tra chiesa e stato”. Mettono in rilievo che negli Stati Uniti esiste una tale divisione (infatti le religioni sono “un affare privato come un negozio di alimentari o una macelleria di carne di maiale”), ma questo fatto non “permette di evitare che la lebbra della religione divori la grande repubblica americana più di ogni altro potere al mondo.”
Nel 1886 Lafargue pubblicava una satira intitolata La Religion du capital (La Religione del capitale). Immaginava una conferenza a Londra con i rappresentanti del mondo economico e politico del capitalismo europeo — Clemenceau, Rothschild, Gladstone, Herbert Spencer, von Moltke, ecc. Tra coloro che prendevano parte alla conferenza c’erano Ferry e Paul Bert, che nella sua funzione di ministro dell’educazione era stato uno dei sostenitori principali della laïcité. La loro preoccupazione era quella della sopravvivenza del capitalismo. E per raggiungere questo scopo serviva una religione qualsiasi.
Nella satira, Bert dichiarava che mentre lui stesso non era un credente, era comunque a favore di una religione per la classe operaia. “Gli operai devono credere che la povertà sia l’oro che permette di conquistarsi il cielo…. Sono una persona religiosa…. per le altre persone.”
Il problema consisteva nel fatto che il cristianesimo oramai aveva perso la propria credibilità. In un passaggio ironico alla Voltaire, Bert notava che non era più possibile far credere alle persone che “una colomba avesse amato una vergine, e che da questa unione, condannata dalla morale dome dalla fisiologia, fosse nato un agnello.” I delegati si ritrovarono d’accordo sul fatto che serviva una nuova religione, basata sulla devozione nei confronti del capitale e su un catechismo che imponeva ai lavoratori l’obbligo di lavorare.
In questo contesto, Lafargue sembrava commentare in modo satirico il ruolo della laïcité — una dottrina che potrebbe giocare il ruolo che gli insegnamenti obsoleti del cristianesimo oramai non era più in grado di rivestire.
Spesso viene rivendicato che la laïcité era la continuazione delle tradizioni della Comune di Parigi. È vero che la Comune aveva separato religione ed educazione. Ma, come sosteneva Maurice Dommanget, i rappresentanti della Comune non faceva ampio uso del termine di laïcité, considerandosi materialisti piuttosto che neutrali riguardo alla questione della religione.
E, cosa più importante, come ha messo in rilievo Kristin Ross nel suo eccellente studio recente, la Comune non si vedeva come uno stato, ma piuttosto come un’autonomia locale con un quadro di riferimento internazionale. Sicuramente non considerava l’educazione quale preparazione al servizio militare. La Comune rappresentava una tradizione internazionale alquanto differente rispetto a quella sviluppata dai partigiani della laïcité.
Una delle critiche più dure nei confronti della laïcité proveniva dalle correnti anarchiche e sindacaliste. La posizione anarchica si potrebbe riassumere nella massima “Né chiesa, né stato.” Come lo esprimeva Sébastien Faure, la scuola cristiana era “organizzata dalla chiesa e per la chiesa, mentre la “scuola laica” era organizzata dallo stato e per lo stato.” Contrapponeva ad essa l’idea della “scuola del futuro…, organizzata a favore del bambino.” André Lorulot esprimeva il concetto in un modo ancora più crudo, chiamando gli insegnanti statali “i poliziotti intellettuali della classe capitalista.”
Gli anarchici fecero diversi tentativi per fondare delle scuole libertarie, indipendenti sia dalla chiesa che dallo stato; una di queste avventure fu sostenuta finanziariamente da Émile Zola e da altri autori, anche se alla fine non raggiunse il suo obiettivo per mancanza di fondi.
Come Marx ed Engels gli anarchici non avevano molto rispetto per Ferry e certamente non lo consideravano un eroe della sinistra. Il giornale di Émile Pouget, Le Père Peinard (Il Padre Tranquillo) combinava opinioni radicali con un linguaggio molto diretto, popolare e a volte volgare.
L’opinione di Pouget su Ferry, per porla in minimi termini, era di un’aggressività ostile: “Se c’è un maiale che mi dà veramente la nausea, è Ferry. Che bruto, sporco animale, la più grande canaglia di tutta la Francia… vorrei vedere uno che gli stringa il collo; si potrebbe farlo fuori con lo stesso rimorso con cui si schiaccia un insetto.”
Pouget aveva un’opinione interessante sul dibattito attuale riguardante il permesso da dare o meno ai preti per lavorare come insegnanti. Egli si opponeva ad un divieto totale, dicendo comunque che per proteggere gli allievi e dimostrare il loro impegno nei confronti del celibato, i preti dovessero essere castrati.
Una serie di altre pubblicazioni anarchiche facevano campagna contro la laïcité.
L’opuscolo intitolato L’École: Antichambre de caserne et de sacristie (La scuola: anticamera di caserma e di sacristia) — pubblicato anonimo, ma forse redatto da Émile Janvion, uno dei fondatori del sindacato dei lavoratori CGT e presumibilmente l’iniziatore della prima “scuola libertaria” in Francia — citava Bakunin e Stirner per affermare concordando con essi che la laïcité non costituiva altro che un dogma alternativo rispetto a quello della chiesa.
Citava anche la rivendicazione del politico repubblicano Léon Gambetta secondo cui il “clericalismo sarebbe il nemico”, rispondendo che “le religioni (dello stato o della chiesa) sono il nemico” e concludendo che “i nostri anticlericali hanno uno spirito simile a quello dei preti. I nostri atei sono persone pie.”
Janvion sottolineava in particolare il modo in cui le scuole secolari incoraggiavano i sentimenti nazionalisti. Al bambino “si inculcherebbe un odio cieco e idiota per la gente che vive dall’altra parte di tale e tale fiumicino, infatuazione riguardo alla propria razza a scapito di tutte le altre che vanno distrutte”.
Ricordava anche certe frasi scritte alla lavagna dai maestri della scuola laica per farli recitare in coro agli allievi durante la giornata scolastica. Tipici esempi erano: “Un bravo francese deve sapere come morire per la propria bandiera”, “Esisti solamente per la patria, vivi solo per la tua patria”, “Un bravo bambino francese deve prepararsi a diventare un bravo soldato”.
Janvion faceva riferimento all’“educazione morale e civica” che spiegava come “il servizio militare fosse un apprendistato per la guerra. È necessario formare un esercito solido, capace di difenderci contro i criminali all’interno del nostro paese e contro i nemici all’estero.” L’espressione “criminali all’interno del nostro paese” faceva chiaramente riferimento alla funzione da crumiro dell’esercito prima del 1914.
Il libretto di Antonin Franchet, intitolato Le Bon Dieu laïque (Il buon Dio laico), focalizzava sui libri di scuola delle scuole laiche. Un testo popolare di Charles Dupuy, ex ministro dell’educazione, chiedeva agli allievi: “Come possiamo dimostrare il nostro amore per la nostra patria? — Obbedendo alle sue leggi, anche se non ci convengono, e difendendo il suo territorio e la sua indipendenza contro lo straniero, anche al prezzo del proprio sangue”.
I libri di scuola insegnavano agli allievi ciò che dovevano pensare della Francia: “Amo la Francia, come amo mio padre e mia madre. Per dar prova del mio amore, ora devo essere un bambino educato e diligente per diventare, da grande, un buon cittadino e un buon soldato”.
E gli ideali internazionalisti venivano disprezzati:
Forse sentirete attorno a voi gente indolente ed egoista affermare che non si deve esser cittadini di un unico paese, ma del mondo, e dunque cosmopoliti; e che la patria può essere in ogni luogo dove ci si trova bene; che la patria è solo una parola, un’astrazione che non dovrebbe ingannare delle menti positive e pratiche.
Persino nei testi di insegnamento, incentrati sulla morale, non si insegnavano cose del genere:
Lo so che una persona può amare la propria patria, senza odiare altri popoli e senza desiderare o preparare la loro rovina. Ma per i soldati ci sono casi in cui necessariamente devono essere in grado di odiare, di odiare il nemico invidioso e senza pietà, che dopo l’abuso della forza e dopo averci privati dei nostri fratelli in Alsazia e Lorena, è persino all’erta per individuare un’opportunità di colpirci definitivamente.
Finché il conquistatore continua a provare odio nei confronti della nostra patria, lo sconfitto non può né perdonare né dimenticare.
Odiate dunque l’ingiustizia del passato, l’ingiustizia che continua a minacciarvi. Infatti per vendicare la prima e dissipare gli effetti dell’altra, l’odio rappresenta una forza, cittadini francesi, l’odio è un dovere!
In un testo scolastico di Émile Lavisse, giustamente intitolato Tu seras soldat (Sarai un soldato), l’autore incita il suo pubblico di giovani lettori a prendere in considerazione un futuro come spia. Senza offrire uno stile di vita alla James Bond, comunica inequivocabilmente agli allievi che i fini giustificano i mezzi e che la menzogna e la dissimulazione sono completamente legittime:
La spia che serve il proprio paese in tempi di pace è un uomo astuto, coraggioso e ardito che si reca in un paese straniero per studiare il suo sistema di difesa e i suoi preparativi bellici per poi comunicarli alla sua patria.
Tutti i mezzi sono legittimi per raggiungere il suo fine. Nasconde la propria cittadinanza e adotta un falso nome; parla la lingua del paese e nasconde il suo compito, facendo diversi mestieri.
I critici anarchici del concetto della laïcité sono anch’essi criticabili — Pouget e Janvion in particolare erano antisemiti. Ciò nonostante le loro osservazioni servono comunque a contestualizzare la laïcité e a chiarire che non era talmente progressista e priva di ambiguità come spesso si sostiene.
Malgrado alcune voci di opposizione, la laïcité in generale raggiunse il proprio fine di costruire un’identità nazionale solida, basata sul potere militare. Come afferma lo storico Eugen Weber: “Nell’agosto del 1914 non era affatto sorprendente sentire un giovane contadino del Var e i suoi amici arruolarsi “felici” (come scriveva alla sua famiglia) per andare al fronte e difendere il nostro paese, la Francia.”
Una breve interruzione si ebbe nel 1912, quando il sindacato dei maestri elementari votò a favore del supporto del Sou du soldat (Soldo del soldato), un fondo antimilitarista. Questo fatto produsse un certo panico – l’ex ministro della guerra Adolphe Messimy dichiarava, senza dubbio in modo del tutto sincero, che mentre egli era un sostenitore della laïcité, le azioni dei maestri erano inaccettabili. Per un attimo, gli agenti dello stato sembravano ribellarsi ad esso. Ma solo il 5% dei maestri faceva parte del sindacato e dunque alla fine quest’opposizione non ebbe alcun effetto concreto.
Le tradizioni critiche nei confronti del concetto di laïcité persistevano anche all’indomani della Prima Guerra Mondiale. La rivista Clarté, vicina ma non del tutto controllata dal Partito Comunista, affrontava gli sviluppi del sistema educativo nella Russia post-rivoluzionaria che potrebbero offrire un’alternativa alla chiesa o all’educazione statale. Una conferenza pedagogica tenuta a Mosca nel 1919 ad esempio rigettava la neutralità academica e la laïcité come un acchiappacitrulli che serve solo gli interessi della borghesia.
E ai suoi inizi il Partito Comunista Francese aveva un atteggiamento del tutto diverso riguardo alla concezione della laïcité rispetto a quella di molti rappresentanti della sinistra di oggi. Abelkader Hadj Ali— sposato con una donna francese e dunque cittadino francese a tutti gli effetti, a differenza della maggioranza degli immigrati nordafricani – era un membro fondatore del partito e contribuiva regolarmente a Le Paria (il giornale comunista per i lavoratori immigrati e coloniali) e venne eletto parlamentare nel 1924. Hadj Ali, musulmano per tutta la vita, sosteneva che i comunisti dovessero adottare una posizione non-polemica nei confronti dell’Islam.
Soprattutto nella nostra epoca in cui il concetto viene usato per servire l’islamofobia, è di particolare importanza, detronizzare il concetto della laïcité dal suo statuto elevato. E a questo fine si deve comprendere che la laïcité non è un ideale nobile interpretato male o distorto, ma un’idea profondamente viziata alla radice.